Sento parecchio rimorso di avervi raccontato questa storia insensata e amara e anche pessimistica. Vi meritavate forse qualcosa di più realistico, da strada normale, di quelle che accadono tutti i giorni, e non lo sfogo di un annoiato dalla vita, vi chiedo scusa.

 

In favolacce vige un clima di alienazione totale che si alterna al tono sconsolato di una voce narrante – quella di un uomo che trova un diario interrotto a metà – e che irrompe nella realtà (surreale) dei protagonisti del film.

 

La loro, una storia forse vera, forse no.
Ma una realtà triste, questo è sicuro: perché è quella di alcuni bambini che vivono una vita apparentemente normale fatta di pagelle perfette, cene in compagnia, case comode, gite al mare.
No, non è così.

 

È una serie di comodità di cui ai bambini Placido non importa nulla, perché il loro è un agio che si scontra e crolla di fronte all’indifferenza, alla rabbia, alla superficialità del mondo adulto con cui si confrontano. Un mondo adulto che forse non sa neanche come aiutarli, questi bambini, che non li sa comprendere, che non sa come voler loro bene, se non dando sfoggio alla loro apparente perfezione.

 

 

Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, è un film in cui tutto ciò che sembra essere perfetto, alla fine rotola nel baratro della disperazione. E questo presentimento lo si ha già all’inizio del film quando si nota una fotografia che pare preannunciare sempre di più la cupezza di pellicole come quelle di Dogman, del regista Haneke, o ancora quelle del greco Lanthimos.

 

L’unico amore che sembra salvarsi è quello che c’è tra un padre povero e grezzo e un figlio che poco riesce effettivamente ad esprimersi: Amelio è un uomo che ha poco da offrire, vive in un prefabbricato collocato in campagna, ed è con la sua semplicità e la sua cura che vince quella che si dimostrerà essere una gara di sopravvivenza.

 

Favolacce è un film che fa pensare di trovarsi nel deserto; tutto è assorto in uno spaventoso nichilismo, tutto pare essere avvolto dalla nebbia più fitta, niente sembra potersi salvare.
La bomba è pronta ad esplodere, ma non si ode alcun boato. Saranno solo le urla folli di una madre e un telegiornale macabro ad annunciare la fine di una storia amara.

 

Non c’è lieto fine e forse perché Favolacce non è una favola, e rappresenta solo una piccola parte di tutte le realtà invisibili, nascoste e tragiche che tendono ad essere oscurate dall’inadeguatezza di un apatico mondo adulto.
Favolacce non è un film “retorico”, “moralistico”, “banale”. Probabilmente prova a tracciare una nuova strada da seguire, magari quella di un padre che prende per mano il proprio figlio e lo accompagna verso il futuro, con tutto l’amore del mondo.

 

 


autore_ Gloria Ronco
bio_ classe ‘03. Nanni Moretti suggerisce “coltiva velleità autarchiche”.
In un cammino che ogni giorno interseca classici greci e latini, visionari del cinema internazionale, e formidabili penne, da quelle russe a quelle sudamericane, si occupa attivamente di scuola e scrittura.
Quando può suona la chitarra, ma gli assoli di Jimmy Page sono ancora molto lontani.
È convinta che la semplicità sia il trionfo dell’originalità.
That’s all.

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