Ahimè, è risaputo che il mondo del cinema non sia tutto rose e fiori e che Hollywood non sia altro che un macchinario sfrutta-sputa persone. Fin troppo spesso sentiamo notizie di abusi e violenze sessuali, episodi razzisti, omofobia, transfobia e feticismi vari; ma c’è una persona che è riuscita ad ingannare tutti (o quasi). Quella di Stanley Kubrick è stata e continua ad essere una figura controversa, malata, maniaca. I suoi metodi, per usare un eufemismo, poco ortodossi hanno sicuramente segnato più di una star hollywoodiana.

In primis, l’allora trentenne Shelley Duvall, portata letteralmente all’esaurimento nervoso sul set di Shining: l’ossessione del frame perfetto ha costretto la Duvall a piangere, urlare, correre in prenda al panico fino anche a 124 volte, per una singola scena. Evidentemente rinchiudere il cast principale per 56 settimane, lontano da altri membri della troupe e familiari, non era sufficiente a creare l’atmosfera voluta da Kubrick. Il premio per tanta dedizione sono stati una malattia mentale e, oltre il danno la beffa, una nomination ai Razzie Awards.

Vorrei anche ricordare i coniugi Tom Cruise e Nicole Kidman, il cui divorzio è probabilmente scaturito dalle riprese dell’ultima pellicola del regista, Eyes Wide Shut. Kubrick ha apertamente confessato di aver sfruttato la reale gelosia di una reale coppia per raggiungere l’apice della perfezione: le scene erotiche erano girate in gran segreto, uno all’oscuro di ciò che facesse l’altro, perché, scontato dirlo, non era loro permesso raccontarsi cosa facevano sul set quando separati. Vietò a Cruise di assistere a ben 6 giorni di riprese di amplesso tra la moglie e un altro attore (per una misera scena di un minuto), oltre che a un set fotografico di pose senza veli della sua dolce metà; alla Kidman vietò invece di rassicurare il marito. L’obiettivo era chiaro, rendere loro realmente gelosi, tesi, arrabbiati.

Chissà quante altre violenze sono state praticate da quest’uomo in nome della buona riuscita del film, per soddisfare il suo grasso ego bisognoso di piacere. Si può ancora godere dei suoi film dopo aver conosciuto questi retroscena?
Le sue opere vanno condannate ad una damnatio memoriae o riassunte in un machiavelliano “il fine giustifica i mezzi”?


A voi la scelta. E credetemi quando vi dico che le mie non sono domande retoriche, ma che sono genuinamente combattuta anche io.

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