Il posto delle fragole (Smultronstället)
Ingmar Bergman, 1957
Che cos’è Il posto delle fragole? Non è soltanto un punto di partenza per un viaggio memoriale in un passato edenico, è anche un approdo che, nel percorso a ritroso del ricordo, deve sfumare necessariamente i suoi contorni per lasciare spazio a un nuovo tempo, quello appunto in cui “le fragole sono finite”.
Isak Born è un anziano professore di medicina che si appresta a ricevere un’onorificenza al termine della sua carriera. Prima di mettersi in viaggio in macchina, in quello che sarà, non solo metaforicamente, ma a tutti gli effetti un road movie nelle età dell’uomo, fornisce allo spettatore coordinate essenziali che saranno le costanti delle colpe che condannano il settantottenne alla solitudine e all’inconsistenza dei suoi rapporti – quelli con la vecchia madre, con la defunta moglie Karin, con il “distaccato” figlio Evald e con sua moglie Marianne e, infine, con la cinica governante – e per le quali il premio conferitogli è quello al proprio fallimento umano.
In questi termini, il percorso di espiazione del protagonista, quell’ultimo esame a cui verrà sottoposto dai fantasmi dei suoi incubi, può avere inizio, scandagliato però dalle tappe del passato e sotto la supervisione dei castratori onirici. Non è un caso, allora, che la guida di viaggio sia proprio la nuora Marianne che, a differenza dell’impasse volitivo di Isak, è mossa “soltanto [da] un impulso”.
La prima sosta-respiro nel ricordo è proprio quella che lega il protagonista alla sua giovinezza trascorsa con la famiglia nella casa delle vacanze: l’amore non corrisposto per la cugina Sara e le fragole selvatiche del giardino circostante l’abitazione (le stesse che cuciono i ricordi di Un’estate d’amore tra Marie ed Henrik nella pellicola bergmaniana del 1951), correlativo oggettivo proustiano della stagione ingenua dell’amore ma, al contempo, memento mori di un tempo andato.
A questo punto i fili della memoria involontaria si intersecano: la Sara del passato di Isak si affianca, come déjà-vu mancato, alla giovane Sara e ai suoi due compagni di viaggio, un correttivo forse, o semplicemente un’alternativa presente che può veicolare il protagonista dai sedimenti del trapassato a un futuro prossimo, tangibile o maggiormente sensibile.
Il secondo respiro è, invece, quello del passato incarnato nell’“ancora” presente anziana madre di Isak, il cui orologio non ha lancette come il tempo che non procede del protagonista, e del resto l’incubo iniziale lo ricorda: immobilità della vita, incagliata nei ricordi passati, anticipazione del futuro, quello inevitabile della morte, e inconsistenza del presente, davanti alla quale e nella quale l’individuo-fantoccio si sgonfia, perde consistenza.
“Incompetenza, egoismo, incomprensione”, queste le accuse dell’esaminatore e di coloro che hanno fatto parte della vita deambulante di Isak, e la punizione? “La solita […] La solitudine”. La conosciamo proprio a chiusura dell’ultimo sogno del protagonista, nell’asettico silenzio del posto delle fragole che ora assomiglia all’inquietante camera iperbarica dello scientismo esistenziale del professore: “Una perfetta operazione chirurgica. Ogni cosa è stata asportata. Più niente che sanguini […]. Nel suo genere è un capolavoro”.
Alla fine del suo viaggio, tra memorie e specchi che ricordano la realtà presente, il “movente determinato” di Isak è chiaro: le fragole sono finite e ora può posare la maschera e chiudere gli occhi, forse questa volta senza l’incubo di un sogno o l’attesa di un ricordo, ma con il conforto di un sorriso; l’amara consapevolezza di esser “morto pur essendo vivo” è anch’essa lasciata alle spalle. Smultronstället è un film che parla a tutti e, parafrasando le parole di un mio maestro, anch’egli guida di un tempo di vita, “non ha epoca: è soltanto un capolavoro dello spirito umano, è una delle dieci cose da salvare nel suo secolo, se la vita sul pianeta dovesse essere annientata”.
autore_ Ruben Donno
bio_ dottorando in Studi Letterari, Linguistici e Storici presso l’Università degli Studi di Salerno. Si occupa principalmente di letteratura italiana otto-novecentesca, dei rapporti di quest’ultima con il figurativo e di teoria della letteratura. Amante del cinema, predilige i classici dell’horror e il cinema indipendente, ma i suoi registi preferiti sono David Cronenberg, Peter Greenaway e Ingmar Bergman e tra i film del cuore vi sono, invece, Driving Miss Daisy, Annie Hall e The Wizard of Oz.
academia_ https://salerno.academia.edu/RubenDonno