Cinema

TURBORECENSIONE SUPERVELOCE – Mank

Questa è una TURBORECENSIONE SUPERVELOCE e  funziona in tre stadi di sintesi.

Cliccando qui troverai la sintesi massima, con voto.

Qui quella con un livello di dettaglio leggermente superiore.


Qui invece, un’analisi più approfondita della pellicola.

Scegli la velocità che preferisci e buona lettura.

Grande prova d’attore di Oldman, e la composizione dell’immagine di Fincher lascia sempre la mascella al suolo.

 

TURBO

Bellissimo film, con un grande MA. L’opera è interpretata con maestria e girata con gelida perizia. Un prodotto fatto per assomigliare ad una pellicola anni 30 (preparatevi a bianco e nero e suono ovattato). Se però si conosce poco e poco interessa il contesto (Il film Quarto Potere, la sua produzione e il sistema Hollywoodiano dei citati 30), Mank può risultare un film splendido, ma anche noioso e/o vuoto.
Quindi tentate un approccio a vostro rischio e pericolo.

24-25/30

La figura di Mank a letto circondato da ‘attrezzi di lavoro’ ha un fascino che celebra simultaneamente l’immobilismo e il duro lavoro.

 

SUPERVELOCE

Mank è un gran bel film, se si soddisfano determinati criteri ‘all’ingresso’.

È recitato divinamente, in particolare da un Gary Oldman come sempre eccellente. Diretto con la solita precisione del (ormai possiamo dirlo) maestro David Fincher, che oltre al suo solito occhio chirurgico nello scegliere inquadrature e movimenti di macchina, si prodiga in mille trucchi di prestigio per replicare l’estetica (sia sonora che visiva) del cinema che racconta. Dalla fotografia, al missaggio audio, alla colonna sonora è tutto costruito con un occhio rivolto alla Hollywood dei ’30.

È però anche un film che punta l’occhio di bue su aspetti molto specifici del cinema dell’epoca, quelli produttivi, ma anche politici ed economici e l’influenza che avevano sui lavoratori. Soprattutto, è un’opera che parla della scrittura di una pietra miliare, ovvero il capolavoro di Orson Welles ‘Quarto Potere’.
Nella struttura, nell’accostamento di personaggi, nell’approfondimento di temi e anche nell’uso di certe tecniche, Mank è in continuo dialogo con la storia del cinema e con il suo ‘fratello maggiore’.

Per questo motivo tanto più si conosce la ‘materia prima’ e il contesto socioculturale dell’epoca, tanto più il film assume valore e livelli di profondità. Diventa così un puzzle poetico sull’arte, l’ispirazione, il potere, la politica e l’intrecciarsi di questi elementi.

Al contrario, meno si è ‘preparati’, più il film apparirà come una tiritera noiosissima fatta di nomi sconosciuti e persone vuote. Se essere specifici al punto da alienare una vasta fetta di persone è un difetto, il film è estremamente carente. Al contrario, se la specificità è valore neutro o positivo, siamo davanti ad una splendida pellicola.

Non trascendentale, ma sicuramente consigliata.

 

Il rapporto tra il personaggio di Marion Davies e Mank è uno dei punti più umani in questa pellicola che tanto parla dei meccanismi lavorativi di Hollywood.

 

RECENSIONE

Mank è difficile da valutare.
È un film che ragiona su molteplici livelli di lettura. La sua storia umana è purtroppo (o per fortuna) inscindibile dall’analisi storica, sociale e artistica che fa delle politiche degli studios alla fine degli anni 30 e all’alba dei 40.
È un racconto che parla dell’atto di scrivere, di mischiare fiction e realtà, dei diritti dei lavoratori, di propaganda e dell’intrecciarsi di tutti questi elementi. È un’opera sull’atto di raccontare figure imponenti e totalizzanti, mentre ne tratteggia una importante, ma non immensamente popolare.

Mank è uno sceneggiatore che deve scrivere una storia su un personaggio ‘larger than life’, come dicono gli anglofoni, una personalità quasi mitica. Al contrario quello che Fincher fa del suo protagonista è un ritratto di una figura interessante e incisiva, ma con un respiro sempre sommesso e mai al centro del palco. Un carattere forte ed ammaliante, schiacciato però da un sistema che lo tollera, ma potrebbe spegnerlo come una cicca in men che non si dica.

La figura di Orson Welles è tratteggiata prima come quella di uno spettro minaccioso ma placido e poi invece come qualcosa di molto fisico e presente. Il parallelo tematico con il personaggio che andrà ad interpretare in Quarto Potere e il confronto con quello che Oldman interpreta in Mank sono due spunti di riflessione molto forti.

La struttura è a flashback, ma il racconto è calibrato perfettamente e guida con grazia lo spettatore (splendido l’espediente di regia che ci introduce ai salti nel passato come se fossimo tra le righe della sceneggiatura che il protagonista sta scrivendo). Le scene singole funzionano molto bene e in realtà, col progredire nella visione, anche la loro somma assume un contorno preciso. Il climax finale è il fiore all’occhiello di questa progressione e tira tutte le fila del racconto, comprimendo la struttura a salto temporale, spezzando e mixando simultaneamente due dialoghi/monologhi per mostrarcene le similitudini e le differenze. Questo momento finale, funge inoltre da culmine del gioco di scatole cinesi concettuale e tematico imbastito fino a quel momento e il risultato è eccellente.

L’inquadratura dei taccuini funge sia da sfumatura narrativa, che ci racconta il proseguire della stesura dello script, sia da segnalibro visivo che ci reintroduce al tempo presente. Un altro eccellente trucco da prestigiatore nella manica di Fincher.

Pur con tutte queste sfumature, però, Mank resta un film duro da mandare giù. Questo perché se non si entra nel mosaico storico/filosofico di Fincher avendo fatto ‘i compiti a casa’ (e forse neanche in quel caso) sarà difficile trovare qualcosa al quale appigliarsi.

Ci sono tanti film che ‘giocano in profondità’, film dai quali si esce basiti dopo la prima visione. Col tempo e una seconda o terza o quarta chance questi film si dischiudono mostrandoci il loro cuore. Solitamente, però, tali pellicole hanno qualcosa in superficie che ghermisce (o repelle) con forza e che resta in testa in maniera abbastanza efficace da concedere alla mente dello spettatore la possibilità di rivisitarli in futuro.

Questa scena è uno dei momenti più belli della pellicola. Lascerò qui il frame senza entrare svelare altro, mi sentirei molto in colpa.

Purtroppo in Mank, le qualità in superficie, come solito per Fincher, sono piene di grazia ma anche di gelo. Gelo che di solito il regista bilancia con personaggi universali, temi intriganti, cinismo, tensione, mistero, carisma.

Quest’opera, del suo autore, prende solo i lati cerebrali. La messinscena minimale ed elegante, purtroppo, non basta da sola a reggere tutto il resto.

Rimane un film molto bello, ma che non concede niente.
Se volete essere rapiti, non guardatelo. Altrimenti, dategli un occhiata, è comunque un bel prodotto, pieno di idee.
Ed è comunque diretto da David Fincher.

 

Sebbene sia un film difficile, più ci si pensa e più Mank risulta un opera precisa come il meccanismo di un orologio.

 

Alessandro Romita
Grafico e Illustratore, ma aspirante fumettista (per ora ha all'attivo il webcomic Piergiorgio e il Drago). Ha un amore feticistico nei confronti delle meccaniche che regolano i media, dal vivo quindi potrebbe discutere di tali argomenti a tempo indeterminato fino al rischiare denunce per sequestro di persona. Scrivendo almeno consente ai suoi interlocutori una maggiore libertà di approccio. Per lui, ogni scusa è buona per poter disegnare e discutere di ingranaggi comunicativi, in particolare quelli del videogioco, del fumetto, della musica, della pittura e, ovviamente, del cinema ed è convinto che di tali meccanismi si parli troppo poco. Quindi eccolo qui a sfogare le sue compulsioni, guidato da un idealismo innamorato e da un pericolosa foga entusiastica.

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