Oggi ci impelaghiamo nella lettura di Todo Modo, capolavoro di Elio Petri del 1976. Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Sciascia e penultima opera del regista. Uno di quei film che ti fanno sentire minuscolo. Questa vale come doverosa e paracula ammenda iniziale.
Trama
Mentre nel paese infuria un’epidemia, un centinaio di “notabili” del partito che da trent’anni governa l’Italia si riunisce in un albergo convento per seguire un corso di esercizi spirituali condotto da un gesuita, don Gaetano. In realtà ai convenuti preme soltanto concordare una nuova spartizione del potere. Ben presto, dopo un furto sacrilego, la riunione si trasforma in rissa e cominciano i morti.
Il film prende vita all’interno di un resort, un microcosmo, che rappresenta la casa della politica.
Sigla!
Contesto
Italia, seconda metà della decade settantina. Il mondo è spettatore della guerra fredda e il nostro paese guardava ai due giganti (Russia e America) tifando un pò per l’uno un pò per l’altro. Siamo negli anni dello scandalo Lockheed, una serie di gravi casi di corruzione mirati alla vendita di aerei militari, che interessò diversi stati del mondo, tra cui l’Italia, facendone tremare il vigente equilibrio parlamentare.
Siamo nel pieno degli anni di piombo, il decennio in cui si sviluppa e domina il terrorismo, soprattutto in Italia e in Germania. Il termine, che deriva dal titolo italiano del film Die bleierne Zeit (1981) della regista tedesca Margarethe von Trotta, fa diretto riferimento al piombo dei proiettili usati nelle azioni terroristiche ed evoca il clima opprimente e la pesantezza della situazione che caratterizzò quel periodo. Siamo negli anni delle stragi neofasciste. Gli anni della strage di piazza fontana.
Nell’aprile del 1976, Aldo Moro era Presidente del Consiglio (V ministero dello statista pugliese, un governo monocolore DC). Aveva dato il via alla “Strategia dell’attenzione“, una risposta efficace, nelle sue intenzioni, alla “Strategia della Tensione” che aveva invece come obiettivo la destabilizzazione e il disfacimento degli equilibri politici. Enunciata da Aldo Moro al Congresso della Democrazia Cristiana il 29 giugno 1969, la Strategia dell’Attenzione nasceva dal “bisogno di rendere possibile, lasciando da parte l’ambiguità e comodità, il più ampio dialogo in vista di una nuova e qualificata maggioranza”. In questo senso, questa manovra politica apriva le porte alle trattative verso il famoso Compromesso Storico, elaborato dal 1973 e il 1979 al fine di costituire un governo di larghe intese, il quale, legittimato da un ampio consenso di massa fosse capace di resistere ad ogni attacco. L’obiettivo del compromesso storico era quello di risanare e rinnovare la società e le sue istituzioni italiane. Basandosi sulla teoria delle “convergenze parallele”, anche se la DC e il PCI (il secondo partito di governo) erano diametralmente opposti, il fatto di convergere su alcuni punti essenziali rendeva possibile la loro adesione a un governo destinato a sbloccare l’assetto politico del paese.
Il 16 marzo 1978, a due anni dall’uscita del film, Aldo Moro venne sequestrato da un commando delle Brigate Rosse, in quella che verrà ricordata come una delle maggiori tragedie che ha caratterizzato la nostra storia politica. Meno di due mesi dopo venne ucciso, nella famosa Renault 4 rossa.
Questo il clima in cui il regista, già noto per capolavori come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e La classe operaia va in paradiso, scrive (rimaneggiando con cura il testo di Sciascia) e dirige Todo Modo. Un film complesso. Maledetto. Odiato da grossa parte della destra e della sinistra dell’epoca, almeno di quella al potere.
Vigilia
Da qui iniziamo con gli spoiler.
Il paese è piegato da una misteriosa epidemia, una malattia dilagante che tormenta l’Italia mettendola di fronte alla necessità di azioni forti, draconiane. Una società allo sbando che richiede ai suoi governanti una riorganizzazione, una rinascita, dei sacrifici. Per rispondere a questa necessità la crème della classe dirigente si arrocca all’interno di un eremo, in cui ammiriamo una scenografia stupenda, una sorta di spa progettata intorno i precetti di Ignazio Loyola, padre della pratica del ritiro spirituale: ossia l’insieme di meditazioni e di preghiere in un’atmosfera di raccoglimento e di silenzio. La loro privacy è garantita, i loro nomi sono sostituiti da numeri o da iniziali.
Qui incontriamo Don Gaetano il padre spirituale e il capo del governo, M., rispettivamente due infiniti: Marcello Mastroianni e Gian Maria Volontè. Il primo rappresenta la chiesa e la fede in relazione alla politica. La “C” nella sigla del partito DC. Il secondo è un esplicito riferimento alla figura di Aldo Moro, che supera il riferimento alla persona fisica, per diventare un archetipo di tutto il partito dello scudo crociato e di una specifica politica del bel paese. Una coraggiosa e sferzante analisi di un uomo che diventa l’immagine di una crisi politica ed ideologica. Una maschera che incarna il fragile compromesso tra la destra, anche quelle più intransigente, la società cattolica e la sinistra di Berlinguer che dilagava.
Prima giornata
Estremamente interessante è l’approccio dialettico di Aldo Moro. In questo video, trovate un estratto di uno dei discorsi più importanti della sua carriera. Una politica fatta di parole misurate e di facciata, di un vocabolario codificato e spesso preso in prestito dal Vangelo, di discorsi inclusivi e diplomatici, simili a sermoni. L’analisi di questo linguaggio è uno dei primi temi affrontati dal film passando anche da un meticoloso studio dell’uso della parola del suo leader e del suo partito di appartenenza, in qualche modo fondamentale per far luce su questo film criptico, come il linguaggio che accusa.
“Non dire dolorosamente, o soffertamente, o tristemente, e soprattutto magmaticamente, come fai sempre. Ricordati che tanto loro non ti credono, come tu non credi a loro. Parla difficile, solo se non hai niente da dire” le parole della moglie Giacinta (Mariangela Melato), accuratamente nascosta dagli occhi degli altri residenti, poiché la sua presenza non rispetta la dottrina degli esercizi spirituali e della privazione delle “godurie terrene”.
Vediamo come M. fa suoi i consigli di Giacinta (minuto 27).
Il dialogo che rappresenta una drammatizzazione del reale, caratterizzato da una studiata cautela e infiniti temporeggiamenti, smaschera la necessità di voler tirare una coperta troppo corta nel tentativo di ottenere il consenso di tutti all’interno del partito, pur tendendo un braccio al partito avversario, il PCI.
Meditazione sul peccato
M.: “Peccato viene da peccus, difetto del piede, il difetto ti fa zoppicare e deviare dalla strada maestra, io devo pesare tutto il mio peccato, tutta la laidezza e la perversità del mio peccato“.
Il peccato è nel seno di Giacinta, chiara analogia biblica, rea di tentare il marito. È nel furto delle ostie. Nel rifiuto di seguire le regole. Nella sessualità repressa. Nel dimostrare la propria fedeltà condividendo materiale compromettente. Il peccato è in sostanza il potere politico ed economico stesso, questo infatti non esiste se non vi è nessuno ad esercitarlo.
In questo senso Petri si allarga, parla di uomini di fede o presunti tali, non necessariamente di potenti, lanciando una severa critica, sostenuta da argomentazioni psicoanalitiche, rivolta agli esercizi spirituali, che l’autore considerava “la proposta perversa di sperimentare dal di dentro la nevrosi del proprio corpo, della sua scissione dall’anima, e il silenzio di Dio”. La fustigazione diviene inoltre uno strumento per dimostrare la propria devozione, le urla per convincere gli altri prima di se stessi. Un gesto teatrale. Paradigmatica è la sequenza in cui l’on. Voltrano (Ciccio Ingrassia), personaggio tra i più ligi ai precetti, nell’atto di autoflagellarsi, fa bene attenzione ad avvicinarsi alla porta per sfogare la sua sofferenza.
Ora che le personalità politiche risultano più opache, ora che si è più lontani dalla tragedia di Aldo Moro, si può leggere con maggiore lucidità come Todo modo sia più che altro un’astrazione concettuale sulla perdita dell’idealità spirituale, della fede e dei valori del pensiero religioso, che erano stati l’infrastruttura e il collante di una lunga egemonia politica per oltre trent’anni. Un’invettiva al modello politico e all’abitazione del suo potere (il governo), machiavellico, anche criminoso, pronto a tutto pur di conservarsi e riprodursi nel suo paludoso e statico sistema che si estendeva ad ogni angolo del Paese. Un Paese che dopo aver brillato degli anni del dopoguerra, si avviava ad un torpore e ad un degrado morale e civile che sarebbe stato inarrestabile. Don Gaetano, in rappresentanza della chiesa tutta, è la personificazione di questo torbido sentimento di disprezzo nei confronti del decadimento morale ma al contempo della fascinazione per il potere, un personaggio profondissimo che orbita costantemente in questa sofferta dualità. Il conflitto è quanto più evidente quando il prete si confronta con Lui personaggio molto simile alla figura di Giulio Andreotti, demiurgo della DC.
Il santo rosario
“Dovrò portare ancora la Croce… Mediazione e mutamento nella strategia della stabilità… Grandi linee parallele che corrono, corrono verso l’infinito, in un disegno che vuole essere soltanto la realizzazione di un disegno più vasto, eterno, immobile…” con queste parole, Petri attraverso M., scolpisce sempre più prepotentemente l’immaginario di questa Italia asfittica, congelata.
Il film assume delle connotazioni thriller nella sequenza della concitata ed estenuante pratica di recita del santo rosario, a cui tutti sono costretti a partecipare. In questa metafora di un Purgatorio, i convenuti intendono espirare collettivamente le proprie colpe, per poter tornare a guidare il paese, più responsabilmente, cambiando tutto per non cambiare niente.
Durante il rito un uomo perde la vita. “L’On. Michelozzi è morto sparato“. Non è il primo omicidio e non sarà l’ultimo, ma è il primo a verificarsi di fronte a tutti i presenti, aprendo al mistero e facendo serpeggiare il panico. Il tutto avviene sotto gli occhi inermi della polizia. Messaggio che ci riporta alle impunite stragi di stato che hanno caratterizzato l’Italia di quegli anni.
L’evento delinea, in maniera definitiva, il quadro dipinto dal film: la Chiesa (don Gaetano), lo Stato (il procuratore Scalambri), la Corruzione (l’onorevole Michelozzi), la Pena (l’assassino).
Seconda giornata, meditazione sull’inferno
La polizia cerca di ricostruire l’accaduto. In questa scena grottesca prende vita la danza del trasformismo. A tutti è chiesto di rimettersi nella posizione originale. Ma nessuno sembra ricordarla, la rifugge, mentendo alle autorità. Anche il Presidente non ricorda bene i fatti, lui confonde la destra con la sinistra. È un uomo tanto abile e fumoso nella dialettica quanto debole e impotente nel privato e politicamente.
L’epidemia è ormai incontrollabile. L’espiazione è tardiva, insufficiente. L’incontro del partito prende sempre più le fattezze di un rituale satanico e di una inesorabile discesa all’inferno. I morti aumentano progressivamente.
Meditazione sulla croce
La lenta progressione dal reale al surreale, con delle punte horror, avviene subito dopo che il Presidente convoca il procuratore svelando la soluzione a tutti quei delitti fino ad allora indecifrabili e prevedendo anche le prossime mosse del killer. Le vittime erano/saranno accumunate dalla proprietà di aziende le cui sigle, accuratamente messe in ordine, andavano a comporre la frase di Ignazio di Loyola “Todo modo para buscar la voluntad divina” (Ogni mezzo per cercare la volontà divina).
Questi influenti uomini di potere si angosciano al pensiero di perdere i loro benefit, le loro cariche, le loro “sigle”, il loro status. Arrivano ad accusarsi tra di loro, pur di non essere la prossima lettera della frase di Loyola. Tutti, chi più chi meno, impersonificano dei brand, degli acronimi. Tutti ricoprono cariche istituzionali e possiedono compagnie che fatturano milioni l’anno e si scambiano poltrone senza abbandonarle mai. Nessuno escluso.
Il colpevole è individuato infine nella persona di Don Gaetano, in una bellissima sequenza in cui vediamo come questo conservasse segretamente nella sua stanza tutti i dossier e pellicole di microfilm che smascherano i privati dei politici del partito, oltre ad una nutrita collezione della rivista linus. Il prete sarà un mero capro espiatorio, infatti le morti continueranno indisturbate. Il tutto a siglare il simbolo del tradimento verso la chiesa e della ormai inesorabile caduta della DC.
Terza e ultima giornata
Todo modo in ultimo completa il suo parallelismo con Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini. Entrambi sono il simbolo dell’arroccamento e dell’isolamento del Potere; i primi – i libertini di Salò – si recludono nella casa di campagna dove faranno sterminio della classe sottoproletaria; i secondi – i politici, i banchieri, gli industriali di Todo modo – subiranno loro stessi lo sterminio. In entrambi il luogo che li ospita è verità un sepolcro in cui seppellirsi. Entrambi rifuggono dalla realtà. In Salò scappano dalla guerra, in Todo modo è in corso un’epidemia tra la popolazione.
Tutti i residenti perdono la vita. Politica, imprenditoria, polizia. L’unico sopravvissuto è l’autista ed esecutore finale di M. (la cui morte appare come una tragica profezia), non a caso interpretato da Franco Citti, attore pupillo di Pasolini.
La DC è terminata. Tutto finisce. Come finisce anche la carriera di Petri, che farà solo un altro film. La pellicola originale fu sequestrata a meno di un mese dalla sua uscita e ritrovata bruciata presso gli archivi di Cinecittà. Con lui finisce anche per diverso tempo il cinema politico italiano.
Lore.
Ho sognato.
Cosa?
Sogno, così, ad occhi aperti, desideri, di stupro anche, passivo. Capisci?
Atti?
Nessuno come in politica.
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