La prima puntata di “We Are Who We Are” mi ha quasi disgustato, su ogni livello! Non ero riuscito a trovare la “quadra” fra regia, sceneggiatura, intento narrativo e tutto il resto. Quel che farò ora, invece, sarà tessere le lodi di una serie che episodio dopo episodio ha alzato gradualmente il volume di una canzone bellissima che all’inizio non riuscivo a sentire.
Devo fare una premessa: non sono un amante né un assiduo spettatore di serie tv. Il motivo è che la maggior parte di esse prende un concept che a stento riempie un foglio A4 e lo distende su un cartellone 50×70. Mi capita quasi sempre di pensare “fossero stati sei episodi anziché 10, avrebbe fatto centro”. Guadagnino si prende i tempi necessari e non solo. Sceglie di fare una passeggiata al parco coi giovani protagonisti del suo lungo film, di fare due chiacchiere liberatorie con quelli più grandi, di ammutolirci tutti leggendoci una poesia.

“WRWWR”, come spesso viene graficamente reso, è una storia di formazione atipica e contemporanea che racconta una realtà tanto vera sulla scena quanto inverosimile e smodata nella caratterizzazione dei personaggi. All’inizio ho pensato che si prendesse arie da film indipendente francese. Ma poi quest’idea è scomparsa.
La trama è semplice e insolita: Fraser è un adolescente che ha dovuto dire addio alla sua vita in America e si ritrova catapultato nella base dell’ambasciata americana di Chioggia dove prestano servizio le sue due mamme lesbiche. Qui incontrerà dei ragazzi con cui farà amicizia, si innamorerà, ognuno di loro affronterà le proprie beghe personali: dal rapporto coi genitori, a quello con la propria sessualità, alla scoperta del proprio io. Tutto è sospeso in quel limbo che è l’adolescenza.
Geograficamente siamo in Italia ma concettualmente siamo in America: l’aria che si respira appartiene ad un non luogo, un posto di passaggio come un aeroporto o una grande piazza di città.
Quando sentiamo “adolescenza” e “telefilm” pensiamo subito a prodotti di consumo come “Dawson’s Creek”, “O.C.” e via discorrendo. Cancelliamo quest’idea. Con Guadagnino siamo completamente svincolati da ogni tipo di preconcetto canonico di genere. Per farla breve, siamo più vicini a Gus Van Sant di Elephant che al Breakfast Club.

La sessualità in WRWWR è contemporaneamente presente e assente, impellente e di troppo. Così come la torta alla fine di un esplosivo pranzo nuziale del sud Italia: alla fine, almeno un assaggio vuoi e sei costretto a farlo (almeno per quanto mi riguarda).
I personaggi a volte possono risultare fastidiosamente sopra le righe, è come se attraversassero un fiume nella foschia densa dell’alba: col fluire degli episodi si fa giorno, la nebbia si dirada, pomeriggio, sera e noi spettatori non vogliamo più scendere da quella barca. La stessa barca su cui spesso Fraser e Caitlin bighellonano pensierosi. A dirci che forse no, non stiamo guardando un’opera di finzione, la scelta di rendere tutto più verosimile con una fotografia naturalissima, quasi documentaristica. Gli attori poi non hanno un filo di trucco, o così pare. Va a bilanciarsi così il rapporto tra le particolarità dei personaggi e la realtà visiva in cui vivono.
La sceneggiatura è un altro punto di forza. Non avremo mai situazioni paradossali tipiche di un telefilm adolescenziale, non sentiremo battute banali. Se c’è bisogno di silenzio, abbiamo il silenzio. Se c’è un momento divertente abbiamo risate e via dicendo. Alla fine degli episodi non ci sarà la scintilla che brucia lenta fino allo svelamento della bomba col prossimo episodio. Eppure abbiamo ugualmente l’impellenza di proseguire.

Ora farò una cosa che proprio non amo: osannare il regista come fosse il fautore unico e totale dell’opera. Ma qui il suo tocco è evidente praticamente in ogni fotogramma perchè è onnipresente, non cede mai alla funzionalità narrativa, non è mai invisibile. E ciò, cosa molto rara, non tende assolutamente ad affossare il prodotto finale come spesso accade in questi casi. A volte i registi “autori” tendono ad eccedere facendo prevalere la loro poetica su tutto il resto e finiscono spesso nel far annaspare i propri film. La voce di Guadagnino, invece, sospinge il suo film. Quando mi sono imbattuto nel primo fermo immagine (primo di una lunga serie) ho pensato mi si fosse impallato il pc. Poi ho fatto un sorriso e ci son rimasto di sasso. Stesso dicasi per la scelta della colonna sonora: un mix incredibile di generi apparentemente insensato ma che visto da lontano va a comporre un meraviglioso quadro impressionista. Ciò che ne viene fuori è un fortissimo senso di libertà. Libertà visiva, narrativa, di pensiero. Le regole cinematografiche sono basiche, spesso raggirate, proprio come farebbe un adolescente che agisce d’istinto, senza pensare alle conseguenze. Freschezza, naturalezza fanno rima con fanciullezza e senza dubbio con bellezza. Sicuramente qualcuno qui potrebbe anche dire “monnezza”, è inevitabile.
Una puntata di wrwwr è come trascorrere una giornata guardando un posto affollato nei panni di una mosca.
Non mancano i riferimenti politici: la scena si svolge nel 2016, a cavallo fra l’amministrazione di Obama e l’elezione di Trump. E Guadagnino non perde l’occasione e ci fa sentire spettatori inermi di un momento così importante, non vi dirò di più.

La reputazione di Guadagnino è cambiata drasticamente rispetto ai suoi esordi. Fossimo in un ristorante potremmo dire che ha iniziato come lavapiatti con Melissa P ed è diventato sous chef con chiamami col tuo nome. Ora è lo chef della miglior trattoria della regione, quella fuori città, travestita da ristorantino rustico che poi ti offre un menù apparentemente casereccio, stupisce il palato, ti svuota il portafoglio ma ti fa dire “ci sta”. Personalmente lo step più significativo credo lo abbia fatto proprio con questa serie tv. Qui più che mai dimostra di saper scegliere materie prime semplici ma di ottima qualità. Wrwwr è la pasta al sugo più buona che si possa desiderare: l’impiattamento è minimal, la porzione quasi abbondante, il sapore del pomodoro intenso e ti lascia sulla lingua un retrogusto unico. “Ma ci ha messo della noce moscata?”, non capisci cosa ci sia di diverso ma sai che c’è. Pensi “non avevo mai mangiato una pasta al pomodoro più buona di questa”. Lui è in cucina a fare il suo lavoro senza fare troppa fatica. La targhetta con la stella Michelin è lì sul muretto all’ingresso ma non la vedi perchè è nascosta dall’edera: a chi importa davvero vedere un pezzo di metallo quando c’è il bel verde rigoglioso delle foglie?

Mi son permesso di fare questa sviolinata senza dirvi troppo. Date una chance a questa (mini?) serie tv. Merita, merita davvero.

-Alberto

Alberto Mazzotta
1988, Cancro. Di Lecce ma vivo quattro quinti dell'anno a Milano. Ho studiato Media Design (Naba) e Cinema (Centro Sperimentale di Cinematografia di Milano). Che dire... Non accettate i falsi. Esigete sempre e solo videocassette originali Walt Disney Home Video.

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