È buffo come tutto ciò che nasca per necessità prima o poi diventi talmente saturo di bisogno da essere completamente abbandonato. Ci avete mai fatto caso che non indossiamo più tuniche principesche con crinolina? O che il corsetto sia morto e sepolto dalla prima guerra mondiale? Per non parlare poi dei tanto disprezzati skinny jeans che, fino a solo pochi anni fa, dominavano i nostri guardaroba. Cosa è successo?


L’eccesso. È successo che l’uomo non si accontenta semplicemente di usare qualcosa, di creare qualcosa, di indossare qualcosa che possa durare anni, o addirittura, mesi. Non più. La regola è chiara. Ogni due generazioni, circa un ventennio, i vestiti dei nostri genitori, che tanto ci inorridivano in quelle foto di bassa qualità e con gli occhi rossi, sono l’avanguardia pura, agognati tesori da rispolverare da vecchi bauli di mamme e zie. Pensateci: il primo momento nella moda in cui la gonna si è alzata al di sopra della caviglia è stato nel decennio degli anni 20; da lì è stato tutto una salita (letteralmente), finché negli anni 60 non è diventata mini, la prima vera minigonna, mai stata più corta di così.

Neanche un lustro dopo, riecco apparire gonnelloni di gusto hippy, trascinare via ogni cosa si trovasse sull’asfalto. Non c’è da meravigliarsi, questo è solo uno della miriade di esempi che potrei esporvi. Ciò che voglio farvi notare è come l’esasperazione di qualunque ambito si risolva ritornando alle origini, a “prima”. Ciliegina sulla torta, il fantastico(?) mondo del fast fashion ci vizia e pizzica le pingui guance del consumismo, consapevole di soddisfare la richiesta sempre maggiore di vestiario “alla moda”. Il ciclo si stringe, si accorcia, i vent’anni diventano pochi mesi e si stringe anche il mio cuore a veder crollare come soffioni al vento capisaldi secolari dell’alta moda, ridotti all’ennesimo “tiktok trend” da abusare e gettare nella spazzatura.

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