Un uomo che sta troppo poco con la propria famiglia non sarà mai un uomo vero.
Non potrebbe esistere un modo migliore per riassumere con una sola frase il significato de “Il padrino”, diretto da Francis Ford Coppola ed uscito nelle sale americane nel 1972.
Tratto dal capolavoro narrativo di Mario Puzo, il film è ambientato a New York, in pieno dopoguerra, tra la fine del 1940 e la prima metà del 1950. Il protagonista è Don Vito Corleone (Marlon Brando), capo di una famiglia mafiosa siculo-americana, che diventa ben presto una delle più grandi organizzazioni criminali della Grande Mela, soprattutto grazie all’onore e alla rispettabilità ottenuta dal padrino nel corso degli anni, come verrà narrato nel secondo capitolo della saga.
Il Padrino è, senza alcun’ombra di dubbio, uno dei più grandi film della storia della cinematografia americana, e non solo. Se i fratelli Lumiere avessero potuto vedere un tale capolavoro ne sarebbero rimasti assolutamente estasiati e colpiti, come la maggior parte del pubblico che si è rapportata con quest’opera senza tempo. Come tale, ha affrontato un lungo ed arduo percorso, confluito poi, nell’albo dei cult e dei lungometraggi più amati del panorama mondiale. Chi non ha avuto un nonno che gli ripetesse costantemente “la vita è tutto nu bisinissi” o una persona vicina a noi che ne fosse incredibilmente appassionato, tanto da far diventare una qualsiasi camera della propria casa un mausoleo dedicato esclusivamente a questa splendida pellicola?
Il potere de “Il Padrino” risiede decisamente nell’interpretazione di attori magistrali, quali, tra gli altri, Al Pacino, James Caan, Robert Duvall e il già citato Marlon Brando, oltre che nell’ottima sceneggiatura redatta a quattro mani da Francis Ford Coppola e Mario Puzo, in quanto è tutto studiato ed orchestrato affinché il pubblico faccia il tifo per chi, comunemente, sarebbe definito come il cattivo, se pur mai identificandosi con esso. Non c’è tempo per distinguere la morale dalle azioni dei personaggi perché, come del resto avviene anche in guerra e nei miti greci, l’eroe non può avere colpe.
Se, però, rimuoviamo per un momento la lente che esalta le doti di quest’opera dal punto di vista della scrittura, possiamo cogliere alcuni difetti, se pur minimi, che verranno sicuramente riparati nella seconda parte di quest’epopea. Infatti, se da un lato le gesta folli dei membri della famiglia Corleone vengono elevate agli occhi dello spettatore, grazie anche ad alcune battute epiche passate alla storia, come la celebre “Gli faremo un’offerta che non potrà rifiutare”, dall’altro sembra che manchi un elemento essenziale, il libero arbitrio. Non è così scontato affermare, invero, che personaggi come Sonny Corleone e Tom Hagen non subiscano nessuna variazione all’interno del film; è come se facessero parte di un sistema perfettamente escogitato, in maniera tale che essi rimangano piantati nelle loro scelte per non perdere di vista l’obiettivo primario nella tela della narrazione.
Sonny prenderà sempre le peggiori decisioni, figlie di un carattere che non guarda in faccia a nessuno, non si vergogna di niente, è aggressivo ed iperprotettivo nei confronti della sua famiglia, e, infine, irrimediabilmente impulsivo; tutti motivi per il quale non potrà mai ambire al ruolo di padrino. Tom, invece, un membro acquisito della famiglia Corleone, è il consigliere e l’avvocato di Don Vito, estremamente pragmatico e razionale, saprà sempre come mettere una parola dopo l’altra, se pur bevendo prima un bicchiere di whisky.
Se Sonny, Tom e, per alcuni versi, anche il primogenito Fredo, rimangono ancorati ai fili del burattinaio Coppola, i due protagonisti del film, Vito e Michael, avvertono l’inevitabile necessità di fuoriuscire da questi schemi.
Il patriarca Vito fa spazio ad un’irrimediabile vulnerabilità, venendo meno la sua linfa vitale e la sua rispettabilità, traslate, di rimando, in Mike. Il punto cruciale, o plot twist, per gli amanti del gergo, più importante ed irreversibile all’interno dell’opera è il tentato omicidio del padrino, mentre compra delle arance, appartenenti ad una cultura e a radici siciliane, che non potranno mai essere dimenticate.
In questo momento Michael perde totalmente la sua configurazione iniziale, poiché era radicato ad alcuni valori notevolmente differenti rispetto a quelli mafiosi, marcati da una frase rivolta alla sua splendida fidanzata Kay Adams (Diane Keaton) durante il matrimonio di sua sorella Constanzia (Talia Shire) che apre le danze della pellicola: “La mia famiglia è così, non mi somiglia”.
Se pur criticato da molti come un cambiamento troppo repentino, quello di Mike è un passaggio segnato profondamente da un dolore, che si presenterà nuovamente nella sua permanenza in Sicilia, tra l’altro narrata egregiamente dal punto di vista della fotografia e scenografia.
Michael si troverà catapultato in un mondo da cui avrebbe voluto distaccarsi per tutta la vita, godendo dei suoi affetti familiari solamente in quanto tali, senza che vi fossero favoritismi o appoggi particolari, come avviene per la stragrande maggioranza dei personaggi. Egli è costretto, quindi, a cambiare corsia e ad avventurarsi nei meandri di una realtà folle ed irrazionale, che, ben presto, gli farà da padrone, facendo sì che, per gradi, prenda le redini di questa famiglia, dominata ormai dal terrore e dal lutto, generando un vortice di potere e di astuzia che gli porterà uno sconfinato rispetto, forse più vasto di quello ottenuto dal padre.
Non manca di certo, in quest’opera, la componente femminile, rappresentata da donne come le già citate Kay e Constanzia Corleone, ma anche da Apollonia, la ragazza conosciuta in Sicilia da Mike. Se pur affascinanti ed eleganti per tutta la durata del film, esse sono schiave di un mondo totalmente patriarcale, retto da uomini, la cui opinione è la sola che conta.
Per concludere, le musiche di Nino Rota fanno da colonna portante di questo immenso capolavoro, eterno negli anni e dotato di una grandezza e maestosità senza eguali. Ognuno di noi, innegabilmente, fa parte della famiglia Corleone, se pur discostandosi dai suoi valori; e, come già ribadito, la forza di questo film risiede proprio nell’illusione creata da Coppola e da Puzo, di parteggiare per i suoi personaggi, in un processo graduale e irreversibile, come quello in cui si ritrova il nostro Michael Corleone.
autore_ Luca Manno
bio_ È uno studente di giurisprudenza, classe’97, incredibilmente appassionato del cinema americano, e non solo, da tempo immemore. È molto razionale, in quello che fa, ma anche in quello che scrive o pensa sui film che adora. Cerca costantemente il dialogo su questo splendido mondo e ama parlarne per ore.
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