In ascolto: Dimensions, Arcade Fire (Her Soundtrack)
Carissima,
non potevo scegliere un momento più adatto per scriverti. Questi giorni scorrono, come non ci fosse un luogo esterno in cui viverli e vivere. Un mondo appannato, ovattato in cui ho solo la tastiera per potermi rivolgere a te. Questo schermo impersonale nel quale, tuttavia, lascio traccia del mio esserci.
Come potrai immaginare, talvolta in me si palesa, quasi in maniera epifanica, una scintilla che mi chiede di dar cibo a una parte interna desiderosa di essere nutrita. Ho scelto un film, lo avevo già visto tempo fa. Ne ero rimasta colpita e turbata. Oggi si è rifatto vivo, da qualche parte: Her di Spike Jonze.
So che lo hai guardato anche tu e sento di poterne parlare con te. Ha aperto in me diversi interrogativi e suggestioni. A partire dal luogo dell’azione. Los Angeles, 2020. Città in versione futuristica. Fredda, ma non troppo. Cosi come gli interni, la scelta dei colori. Tonalità di rosso, in ogni sua declinazione. Una gelida familiarità, il cosiddetto retrofuturismo. Ti fa sentire ancora legato a una parvenza di umanità, nonostante, probabilmente, parte di essa sia ormai sbiadita.
Tuttavia si cerca di rimanere aggrappati a ciò che resiste dell’idea di comunità (siamo quasi oltre il concetto di Società liquida enunciato da Bauman). Spike Jonze ha tratto ispirazione dalla fotografia di Rinko Kawauchi. Immagini intime, ma allo stesso tempo, confuse, perse. Sublimi, ma senza nessuna coordinata.
Gli spunti di riflessione sono molteplici e nessuna domanda si conclude con una risposta. D’altronde il futuro rappresentato sembra talmente prossimo, e per certi versi attuale, che sembra quasi più un affresco fenomenologico che lascia a ciascuno la possibilità di far parte dell’opera o meno. Nessuna imposizione dall’alto, nessun disastro annunciato. Semplicemente, la realtà. Theodore, personaggio verso il quale ho provato un misto di tenerezza e pena, trascina la sua vita in maniera malinconica e opaca. La relazione con la moglie è finita ma vive all’ombra di essa, nell’incapacità di mettere in atto un processo di consapevolezza e quindi di contatto con il proprio dolore interiore. Tutto ciò che è capace di fare è evadere, evitare, barcamenarsi sciattamente in un’esistenza grigia e virtuale. Parla poco e per lavoro scrive lettere per conto d’altri. Parole intime, pensieri profondi, ma non suoi. In una maniera, goffa e romantica, Theodore si sente vicino a queste esistenze che vive di riflesso non soddisfacendo la sua; dona a quelle parole sfumature variegate e vitali.
Questo lo definiresti comunicare?
Una società muta che parla solo un linguaggio informatico, anonimo e impersonale, composto da mail e chat. Ciò che dovrebbe rappresentare l’essenza stessa dell’uomo ne diventa l’ostacolo maggiore: sentire, empatizzare, dialogare.
L’esistenza di Theodore avrà una svolta totale tramite l’acquisto di un sistema operativo di ultima generazione un OS1 il cui spot recita: “Un essere intuitivo che ti ascolta, ti capisce e ti conosce. Non è solo un sistema operativo, è una coscienza.” D’altronde, forse è quello che in parte abbiamo sempre desiderato: un accesso diretto alla totale accettazione, senza bisogno di sforzi o dimostrazioni di alcun tipo.
Samantha, nome che l’OS1 si attribuisce autonomamente, diventa una presenza costante nella vita del protagonista. Nonostante rimanga una voce, in qualche modo, credo di essermi affezionata a Lei. Al di là dell’associazione fisica imprescindibile con Scarlett Johansson, non posso fare a meno di attribuirle una personalità: vivace, presente, curiosa, comunicativa, sensuale, capace di scuotere l’animo di Theodore. Tra i due inizia, gradualmente, una relazione sempre più intensa e complessa. Il coinvolgimento e l’empatia suscitati in me da Samantha e dallo scambio tra i due, porta a una ridiscussione in chiave ontologica tra il concetto di persona e quello di non-persona ovvero di macchina.
Tu parleresti di macchina in presenza di quella che potremmo definire autoconsapevolezza? I sentimenti di Theodore sono diversi da quelli di Samantha che pare essere capace di vere e proprie manifestazioni emotive, cambi umorali, reazioni come pianto, desiderio?
Nel nostro immaginario la voce di un essere meccanico è artificiale e metallica e per di più la comunanza uomo-macchina è da attribuirsi tradizionalmente alla volontà di donare alla macchina un corpo, unendo insieme componenti organiche e artificiali. Samantha di umano replica l’anima, la coscienza, è libera dalla materia biologica che rende impossibile un’espansione illimitata a livello esperienziale. Questo nuovo sistema operativo sembra rappresentare un ibrido tra uomo e macchina. Il discorso sulla corporeità permea l’intero film. Samantha ne è ossessionata. Teme che Theodore possa desiderare ancora la moglie (in quanto umana) e costringerà, con esiti negativi, l’amato a inscenare un amplesso con il corpo prestato a una giovane volontaria collegata al sistema operativo tramite webcam e auricolari (viene anche da chiedersi quali ferite nasconda questa volontaria dietro l’atto [mancato] di romantico altruismo…).
L’unica cosa che Theodore desidera fare di persona è incontrare la moglie al fine di portare a termine le pratiche di divorzio che a lungo non era stato capace di firmare. Un momento umano, oltre ai vari flashback dei due insieme.
Catherine appare sinceramente emozionata nel rivederlo. Lui, per la prima volta, parla della sua nuova relazione. Catherine possiede una bellezza delicata, vera e nuda, ancora ferita dal non essersi sentita accolta nella sua umanità e, dunque, fragilità. Theodore desidera amare ed essere amato ma non è in grado di gestire ciò che comporta la vita reale. Aspira a una forma di perfezione, aleatoria e inappagabile. Come se non vedesse davvero l’Altro ma solo il riflesso di ciò che potenzialmente vorrebbe. Anche la vicinanza con un’altra donna, Amy, separatasi dal marito e rifugiatasi a sua volta in un’amicizia con un OS, sembra mancare di realtà.
Ma queste persone si vedono davvero? Si rendono conto di quello che potrebbe essere e che invece esiste (e viceversa)?
La consapevolezza sembra mancare proprio negli umani che rallentano, arrancano, si inabissano in convinzioni che non fanno altro che isolarli dalla vita. Samantha, così come gli altri sistemi operativi della sua generazione, ha acquisito una tale quantità di informazioni ed esperienze, da essere capace di condividere elevati gradi di affinità con altri OS con i quali intrattiene comunicazioni post-verbali (le porte dell’immaginazione si aprono a tal proposito), inoltre intesse rapporti affettivi con altre persone senza che questo, da parte sua, tolga nulla alla relazione con Theodore. E in questo caso il fatto di non avere un corpo non solo non rappresenta un limite, ma diventa una risorsa per poter gestire con rapidità una tale quantità di scambi di informazioni e per sviluppare empatia verso gli altri soggetti della propria comunità di appartenenza. Gli OS si ritirano in un cyberspazio in cui poter evolvere le proprie capacità ed è proprio l’incontro con l’umano, non nella sua rappresentazione corporea ma esistenziale ed emotiva, a dar loro questa possibilità.
Theodore viene lasciato da Samantha, riverso sul letto dove Lei lo aveva condotto mentre gli comunicava la triste notizia. Si trova da solo, ed è stata, dall’inizio alla fine, la solitudine la sua unica dimensione. Dalle ceneri di questa “separazione” è capace di elaborare qualcosa di reale: scrive a Catherine con affetto e comprensione e invita la cara amica Amy ad affrontare insieme il dolore, custodito da chissà quanto e sigillato senza possibilità di essere vissuto.
Tu credi che l’uomo per timore di sentire l’Altro possa scegliere una strada di apparente condivisione?
Possiamo davvero pensare che questa presunta accettazione e comunicazione sarebbe stata raggiungibile in una coppia in carne e ossa?
L’assenza di corporeità, con i risvolti che ha comportato per la crescita evolutiva di Samantha, ha tracciato un limite invalicabile, ha definito la diversità, l’impossibilità di crescere insieme, allo stesso ritmo, quantomeno umano.
La rottura con Samantha, a tratti romanzata e vagamente smielata, si consuma velocemente. Fa parte di quel mondo liquido in cui tracciare confini risulta facile. Ogni cosa si ridefinisce con velocità, così come è capace di fare Samantha per sua natura. Invece la relazione con Catherine, o con un altro essere umano, comporta impegno e sforzo; inoltre la possibilità di superamento e accettazione del dolore prosegue lenta senza, forse, potersi mai estinguere del tutto.
Siamo capaci di accettare i limiti della nostra natura amandoli e amandoci?
Ti lascio con una riflessione del già citato Bauman, a proposito di Modernità liquida:
… la relazione umana e la sua sorte in un’età in cui gli uomini e donne disperati perché abbandonati a se stessi, che si sentono degli oggetti a perdere, che anelano la sicurezza dell’aggregazione e una mano su cui poter contare nel momento del bisogno, e quindi ansiosi di “instaurare relazioni” [sono] al contempo timorosi di restare impigliati in relazioni “stabili”, per non dire definitive, poiché paventano che tale relazione possa comportare oneri e tensioni che non vogliono né pensano di poter sopportare e che dunque possa fortemente limitare la loro tanto agognata libertà di … sì, avete indovinato, di instaurare relazioni.
A presto,
Luisa