C’è un po’ di nerd in questa rubrica e per non rischiare di cadere nell’imbruttimento grigio tipico di chi sta spesso con la testa chinata sui libri, gli occhi al cinema e le orecchie alla musica, la coloro con un po’ di rossetto, rosso possibilmente.

In principio c’era un libro (o più di uno), un film e un album musicale. Ero nel periodo preadolescenziale, il primo anno al ginnasio per intenderci, e in TV passava sempre il trailer di un film, che in realtà è l’adattamento cinematografico di un romanzo, l’avrei saputo poi.

Jack Frusciante è uscito dal gruppo, chi ha vissuto gli anni Novanta sa di cosa parlo: di un giovanissimo Stefano Accorsi nei panni di Alex, un adolescente disagiato che si innamora di Adelaide (Violante Placido) che lo mollerà per andare a studiare in America. A dirla tutta in quel periodo non è che ci avessi capito molto su chi fosse uscito dal gruppo, a me pareva Martino, l’amico ancora più disagiato di Alex. Rileggendo poco tempo fa alcune recensioni pare che a uscire fosse stato lo stesso Alex, ma questa è un’altra storia.

                   

Perché Jack Frusciante?

Perché da quel film venni a conoscenza di un “tale John”, uno messo male con la depressione, un cattivo rapporto con la droga tanto da fargli mollare il suo gruppo musicale all’apice del successo, i Red Hot Chili Peppers. Era il 1992 e John Frusciante usciva dal gruppo. Ritornerà nella band dopo sei anni per poi uscirne una seconda volta e rientrare nuovamente nel 2019. Non solo i “Red Hot” (termine amichevole), che nella colonna sonora non fanno neppure capolino, ma da quel film venne fuori il mio primo approccio musicale, la musica che mi piaceva e mi piace, quella che mi emozionava e mi emoziona ancora: dEUS, Violent Femme, The Jam, Faith no more, C.S.I., Pulp. Erano gli anni di Bologna, la città in cui tutti noi adolescenti volevamo trasferirci dopo il diploma, la città rossa, rivoluzionaria e soprattutto, lontana da casa.

E se è vero che il primo amore non si scorda mai, Nuotando nell’aria dei Marlene Kuntz, la ascoltai proprio lì per la prima volta, in sottofondo a una delle scene finali del film; venne fuori che non mi staccai più da Catartica.

 

Partì il periodo della ricerca musicale, all’epoca internet non era contemplato, lo streaming? non ci avrei creduto nemmeno se mi avessero spiegato cosa fosse; la musica si ascoltava nei negozi di dischi, templi per me se ricordo lo sguardo con cui li osservavo quando ci entravo; una sorta di “social analogici”, dove tutti quelli che li frequentavano si conoscevano tra loro, ci si scambiava consigli, si condivideva il gusto, bello o brutto che fosse era una condivisione vera, dove oltre la musica in se c’era anche il culto dell’oggetto musica: la musicassetta o il neonato cd, racchiusi in una pellicola trasparente, le copertine, i libretti all’interno con le notizie sull’album, le foto dell’artista e i testi delle canzoni.

Da lì la situazione è degenerata, in senso positivo; Rob Fleming, il protagonista di Alta Fedeltà (romanzo di Nick Horby), entra

prepotentemente nel mio immaginario: amante della musica, di libri, di film, è l’uomo delle classifiche, prima fra tutte “le cinque peggiori fregature ricevute da una donna” e ditemi voi, chi non ha mai scritto classifiche sulla propria vita? Una sorta di resoconto personale. Ok, magari non tutti hanno preso carta e penna, ma sfido che almeno una volta non ci abbiate pensato, anche sotto effetto di alcool in un post serata tra amici. Rob, da Fleming diventato Gordon e da cittadino londinese trasportato a Chicago nell’omonimo film tratto dal romanzo di Horby, per la regia di Stephan Frears del 2000, è il perfetto figlio del suo tempo, un giovane asociale che trova conforto nella musica e nell’arte in generale, trastullandosi nelle paranoie esistenziali.

Sembra quasi che se metti la musica (e i libri, probabilmente, e i film, e il teatro, e qualsiasi cosa che procuri emozioni) al primo posto, non riuscirai mai a chiarire la tua vita amorosa, e non arriverai mai a considerarla come un prodotto finito. […] Assorbiamo emozioni da mattina a sera, e di conseguenza non riusciamo mai a sentirci semplicemente contenti: noi dobbiamo essere o disperati, o al settimo cielo, e questi sono stati d’animo difficili da raggiungere in una relazione stabile e solida.

Sara Valentino
Sintesi in due ossimori: sognatrice razionale, sensibilmente cinica. Da diversi anni si occupa di comunicazione e organizzazione di eventi culturali, con un occhio particolare alla musica e al cinema, due grandi passioni. La sua priorità è la scrittura: comunicativa e immediata sul lavoro, emotiva e schietta nei racconti. Ama i festival musicali e di cinema che considera una ricchezza per creare, comunicare e condividere micromondi sempre in divenire. Da due anni direttrice di Seeyousound on the road Lecce, festival di cinema a tematica musicale, costola di Seeyousound International Music Film Festival di Torino. Collabora con cinemaitaliano.info.

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