“Padrenostro”, dal trailer e da come ci è stato presentato, potrebbe sembrare un normalissimo racconto biografico, ma lasciatemi parlare del perché non lo è. Claudio Noce non si limita a raccontare la storia di un vicequestore. Innanzitutto perché ci parla di suo padre, e quando si parla di una persona che ami o hai amato, difficilmente riesci a non farti trasportare dalle tue sensazioni, dalle tue emozioni e dai tuoi ricordi. In secondo luogo, perché non ci parla solo di suo padre, ma di come un bambino, un figlio che potrebbe essere chiunque, vive il rapporto con il proprio padre.

Noce ci obbliga involontariamente (o forse volontariamente) a pensare al personaggio interpretato da Pierfrancesco Favino come il padre di tutti noi.

Quest’uomo è una montagna, è indistruttibile e maestoso, ma allo stesso tempo si nasconde. Si nasconde da noi che lo guardiamo al cinema, ma anche dai suoi figli e da sua moglie.

Nella prima parte del film c’è ma non c’è: nonostante la sua assenza visiva, la sua presenza è più forte che mai. Il padre che manca è costantemente nei pensieri dei due fratelli, specialmente del più grande, ed è sempre nelle preoccupazioni di una madre che non ha idea di come parlare ai suoi figli. Ma poi il papà ritorna, ed è un padre buono, che vuole passare del tempo con la sua famiglia. Da figura assente, si trasforma in un padre premuroso e presente, ma per il quale a volte si può provare anche timore.
Questo film, volenti o no, ci fa pensare ai nostri papà: ci spinge a confrontare la nostra situazione padre-figlia/o con quella del film, che nostro padre sia buono o no, presente o no. Ad alcuni il film farà provare nostalgia, o addirittura invidia. Altri, invece, potrebbero immedesimarsi con il personaggio di Valerio.

A molti di noi, i nostri papà sono sempre sembrati invincibili e la loro presenza ci ha sempre fatto sentire sicuri. Ma cosa accade quando questa sicurezza viene a mancare? Cerchiamo di trovarla nelle braccia di qualcun altro, di colmarla in ogni modo, ma falliamo. E tutto quello che questo film ci fa desiderare, è che proprio come il personaggio di Favino, alla fine della storia nostro padre (padrenostro) ci abbracci.

Il film è ambientato durante gli anni di piombo, e il 14 dicembre 1976, a Roma, il vicequestore di polizia Alfonso Noce, responsabile dei servizi di sicurezza per il Lazio, subì un attentato da parte dai NAP, Nuclei Armati Proletari. Durante l’attentato persero la vita l’agente di polizia Prisco Palumbo e il terrorista Martino Zicchitella. Noce venne gravemente ferito ma riuscì a sopravvivere e a tornare dalla sua famiglia, anche se dopo un lungo ricovero.

Il film di Claudio Noce è quindi ispirato a una storia vera ma in realtà, nel giorno dell’attentato, lui aveva solo un anno, e non assistette alla scena come invece accade nel film. Ancora, Noce cambia il suo nome e il suo cognome, diventando così “Valerio Le Rose”, figlio di “Alfonso Le Rose”. Valerio soffre terribilmente la mancanza di suo padre, e con i compagni di scuola non riesce a creare un sano rapporto d’amicizia.

A un certo punto vediamo la comparsa di quello che sembrerebbe un amico immaginario: Christian. La figura di questo ragazzino poco più grande di lui, però, improvvisamente diventa visibile a tutti. Noce ci confonde, ci fa credere che Christian non esista, poi, invece, ci fa capire che Christian è figlio dell’intero film, e che ha un motivo ben preciso per il quale si trova lì con loro. Ma è ancora una figura fuggitiva, ambigua, che ci lascerà dubbiosi fino alla fine.

Noce ci ha donato un film che parla di assenze e presenze, di personaggi che prima non ci sono e poi appaiono, di padri che vivono, padri che muoiono, padri che cerchiamo sempre.

 


autore_ Valentina Abate
bio_ Mi diverto a parlare di cinema – tra le altre cose – anche su instagram, dove potete trovarmi come @vale.ab


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