Finalmente siamo ritornati alla vita, che sia folle o normale poco importa. Il desiderio di vedere un film in sala è tanto, ma dobbiamo avere ancora un’altra piccola dose di pazienza. Negli ultimi giorni di “prigionia”, che poi tanto male non è stata, ho cominciato a stilare le mie solite liste, quelle alla Rob Fleming per intenderci e, nei miei mille appunti su taccuini colorati, ho scritto quali sono state le ultime cose che ho fatto, visto, incontrato, visitato, vissuto, letto.

E così è venuto fuori WITCH “WE INTEND TO CAUSE AVOC!” il documentario di Gio Arlotta, presentato all’ultima edizione di Seeyousound International Music Film Festival Torino (primo festival in Italia di cinema a tema musicale) lo scorso febbraio.

I motivi per cui ho scelto di raccontare WITCH “WE INTEND TO CAUSE AVOC!” sono tanti e differenti: ultimo film visto al cinema in un freddo sabato sera; ultimo festival che ho vissuto prima che venisse bruscamente interrotto a causa dell’emergenza; Torino l’ultima città visitata e ultimo viaggio prima del lockdown; ultima chiacchierata dal vivo con un regista, Gio Arlotta, che sono riuscita a incontrare la domenica mattina successiva.

Gio mi apre la porta del suo alloggio, stilosissimo come un uomo d’altri tempi, non posso fare a meno di notare le sue scarpe rosso fiammante, a colpirmi è la sua gentilezza. Ci accomodiamo in un piccolo angolo della casa e più che un’intervista è stato un racconto su Emmanuel Chanda (Jagari) leader del gruppo e sullo “zambiarock”, genere musicale reso popolare dai WITCH, che unisce rock psichedelico, funk e ritmi tradizionali zambiani.

La bellezza di vivere i festival di cinema e di musica sta proprio nel conoscere artisti di cui non si immagina neppure l’esistenza, quando fuori c’è un mondo da raccontare e da esplorare.

Witch, che tradotto in lingua anglosassone vuol dire “strega” qui è l’acronimo di We Intend To Cause Avod! (Noi Abbiamo Intensione di Creare Caos!), il motto di questo gruppo rock che ha vissuto l’apice del successo negli anni Settanta.

Gio Arlotta ha voluto raccontare, attraverso un lavoro di ricerca di cinque anni, la storia di Jagari e del suo gruppo rock in parte piena di speranza, ma anche triste se la si inserisce nel contesto storico culturale in cui la band ha vissuto. Jagari è considerato il Mick Jagger d’Africa, anche il nome lo ricorda, ma ha avuto meno fortuna della star britannica. Il successo termina con la crisi economica del Paese che aveva raggiunto l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1964, successivamente tensioni politiche, il declino economico e l’arrivo dell’AIDS, che uccise tutti i membri del gruppo, gettarono nell’oblio il sogno di questi musicisti. Jagari, unico sopravvissuto, dovette abbandonare la vita da rock star e andare a lavorare in miniera pur mantenendo nell’anima una passione per la musica che brucia.

Poi un giorno arriva in Zambia Gio Arlotta che conosce Jagari, si appassiona alla storia del gruppo e allo zambiarock  e così, oltre a nascere un’amicizia tra i due, Arlotta diviene anche il suo manager musicale; fa incontrare Jagari con altri musicisti amanti del genere, tutti nordeuropei, e insieme partono per un tour negli Stati Uniti e in Europa. Jagari ritorna sul palco dopo oltre quarant’anni, sempre in splendida forma.

Il ritorno sulle scene di Jagari

Gio mi racconta che l’interesse per Jagari e lo zambiarock nasce quando “gli è passato tra le mani” uno dei cinque album del gruppo e, oltre la  musica c’era anche una copertina che aveva catturato la sua attenzione: “Prima è arrivata la musica poi ho visto quella copertina e mi ha sbalordito perché era gente che non riuscivo tanto a collocare, però mi ha <<stregato>> e da lì è nato l’interesse per quell’album prima, e poi per tutta la discografia del gruppo” – spiega Arlotta – “Successivamente ho iniziato a scoprire altre cose, di come il cantante si chiamasse “Jagari” perché era un richiamo a Mick Jagger, di come facessero questi concerti esplosivi, mi ha incuriosito sempre di più”.

La storia di Jagari richiama alla mente Sugar Man, ma solo in superficie; in comune Rodriguez e Chanda hanno soltanto il fatto di essere stati scoperti dopo anni da qualcuno, ma mentre Rodriguez che vive a Detroit, ha una sua personalità artistica forte e la storia della sua ascesa al successo in Sud Africa affascina al pari di un appassionante romanzo, Jagari fortunato lo è stato poco, etichettato come musicista in un contesto culturale in cui erano considerati dei nullafacenti, affronta le difficoltà anche con la giustizia, perché trovato in possesso di droga, per poi seguire un percorso religioso molto rigido che fa venir fuori un forte dualismo dell’artista: la convivenza dell’anima rock che brucia e la dottrina religiosa.

Gio Arlotta e Emmanuel Chanda (Jagari)

Poca fortunaracconta Arlottaperché un artista è visto come una persona che non fa niente, non è uno che lavora o che contribuisce nella società. Infatti, in alcune canzoni dei Witch come per esempio in “Toloka”, un uomo va a conoscere il padre della ragazza che vuole sposare e quando questi chiede che lavoro faccia, il giovane risponde che è un musicista. Il padre indignato risponde “Toloka” che in zambiano significa “Vattene via”. Ma nonostante questa concezione – continua il regista – in Zambia la musica è un elemento molto importante perché ci sono canzoni per qualsiasi fase della vita: la nascita la morte e tutto quello che viene intorno. Come carriera professionale, fare il musicista non è visto molto bene perché è difficile sopravvivere facendo solo quello; i WITCH ce l’hanno fatta per un certo periodo, molto probabilmente perché erano molto legati all’idea del mito rock (Hendrix, Jagger). Cercavano di occidentalizzarsi perché era quello che vedevano e che gli piaceva e hanno iniziato a incorporare ritmi e idee africane nella loro musica. L’entusiasmo vitale rispetto a quello rock più maledetto”.

WITCH “WE INTEND TO CAUSE AVOC!” oltre a essere un documentario molto intimo, dove il regista si mette da parte per rendere giustizia alla personalità sensibile di Jagari e omaggia lo Zambia attraverso delle immagini che esaltano la geografia che circonda il contesto musicale, vanta una collaborazione molto particolare con Davide Toffolo (Tre Allegri Ragazzi Morti) che arricchisce il lavoro di Arlotta con alcuni elementi d’animazione grafica psichedelici e super colorati, perché Arlotta sostiene che “alcune scene dovevano avere un impatto visivo per lo spettatore”.

L’idea di Arlotta è riuscire a portare Jagari anche in Italia, per il momento essendo tutti musicisti nordeuropei i tour della band si sono focalizzati  ad Amsterdam, Parigi, Inghilterra, Svezia, Belgio; per le sonorità e per l’atmosfera di festa e condivisione che si ricrea sul palco sarebbe un ottimo spettacolo da vedere nel nostro territorio, chissà…

Per chi non li conoscesse ascoltate qui:


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Sara Valentino
Sintesi in due ossimori: sognatrice razionale, sensibilmente cinica. Da diversi anni si occupa di comunicazione e organizzazione di eventi culturali, con un occhio particolare alla musica e al cinema, due grandi passioni. La sua priorità è la scrittura: comunicativa e immediata sul lavoro, emotiva e schietta nei racconti. Ama i festival musicali e di cinema che considera una ricchezza per creare, comunicare e condividere micromondi sempre in divenire. Da due anni direttrice di Seeyousound on the road Lecce, festival di cinema a tematica musicale, costola di Seeyousound International Music Film Festival di Torino. Collabora con cinemaitaliano.info.

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